
Nell’era di E-Bay e dell’usato a portata di click, ci sono alcuni surfisti che proprio non ce la fanno a vendere le proprie tavole da surf, fedeli compagne di tante uscite. Alcuni aprono addirittura una sorta di museo, tra nostalgia e romanticismo.
Quello tra i surfisti e le proprie tavole da surf è un rapporto profondo. È capitato quasi certamente a chiunque pratica un’attività surfistica da diversi anni di ritrovarsi prima o poi con la cantina o il garage invasi da vecchie tavole. Da un lato quando si progredisce nella tecnica e si amplia il panorama di condizioni meteomarine con cui si esce è facile volere aggiornare la propria attrezzatura con pezzi più performanti; dall’altro sono le stesse dinamiche di mercato, le mode, l’evoluzione dei materiali e le campagne di marketing dei grandi brand che spingono ormai sempre più velocemente i riders a rinnovare il proprio parco giochi acquistando l’ultimo scintillante condensato di tecnologia. Per non parlare dell’estrema customizzazione dei prodotti in base alle diverse discipline, ai vari tipi di spot e alle esigenze fisiche e tecniche di ogni praticante. Mi sembra giusto.
Risultato? Ciascuno di noi, anche un semplice appassionato, crescendo, migliorando, cercando di restare al passo dei tempi, è in grado di accumulare una tale quantità di materiale, che nemmeno i pro (che tra l’altro essendo sponsorizzati, hanno sempre solo roba nuova, beati loro).
Difficile staccarsene…
Spesso tuttavia una buona parte di queste attrezzature finisce per non essere utilizzata, per varie ragioni. C’è per esempio la tavola radical, quella da condizioni estreme, sudata a colpi di risparmi per raggiungere il budget e surfate al cardiopalma per conquistarne la padronanza tecnica: rimane lì, tra la polvere, quasi immacolata per le poche uscite spuntate, perché “tanto prima o poi la uso”, ma guarda caso quel momento non viene mai. Oppure c’è l’affare, quella conquistata per pochi spiccioli dall’amico dell’amico che in realtà non ci serve, è un doppione e pur non vedendo mai l’acqua finisce che “guarda, piuttosto la tengo di scorta”.
Infine ci sono le tavole che abbiamo usato all’inverosimile, quelle amate, curate, rattoppate, glorificate, ma anche lì a un certo punto il dubbio viene: “che faccio la cambio? Le linee, il concept, i materiali, i colori, gli adesivi, imprecano di sì e alla fine un giorno cediamo. Avanti un’altra. Ottimo. Ma che ci passa anche solo un nanosecondo per l’anticamera del cervello di metterla in vendita su e-Bay? Manco morti.
Pezzi di storia, pezzi di noi
Perché non ce ne disfiamo? Perché scatta il sentimentalismo e a distaccarcene ci viene quasi un senso di colpa. Alcune tavole inevitabilmente diventano pezzi di vita: con una ci abbiamo chiuso quella difficile manovra, quell’altra ci ha accompagnato in quel viaggio avventuroso, quell’altra ancora ci seguiva in quel periodo particolare in cui il mondo non ci sembrava cattivo.
Poi alcune sono diventate innegabilmente dei pezzi di storia e a distanza di anni le si guarda un po’ con nostalgia. Vi è mai capitato di fermarvi ad ammirare certi pezzi storici esposti in bella mostra all’interno di uno shop oppure inchiodati all’insegna di un vecchio surf club?
C’è chi apre un museo di tavole da surf
C’è anche chi di questa bonaria “sindrome da accumulo” ne ha fatto una vera passione tanto da trasformare il proprio giardino di casa in una sorta di museo a cielo aperto. Si chiama Donald “DJ” Dettloff ed è un signore di 60 anni, pescatore, costruttore di barche e surfista, che vive ad Haiku, un piccolo villaggio sulla costa Nord di Maui (Hawaii). Ha cominciato a collezionare tavole da surf e da windsurf di ogni tipo a partire dal 2013 e ad oggi può contare su oltre 800 pezzi. La sua proprietà, che si trova in Kaupakalua Road e che si chiama Dettloff’s Surfboard Fence, è meta di un pellegrinaggio continuo di surfisti e turisti che oltre ad ammirare le sue vecchie tavole spesso rimangono lì a chiacchierare, farsi una birra e rievocare, c’è da giurarci, uscite memorabili.