
Lunedì 1 febbraio è scomparso a causa di un malore Federico Compagnoni, istruttore di kitesurf e grande appassionato di questo sport, mentre teneva una lezione sulla spiaggia di Mui Né, in Vietnam. Il mio ricordo di un’estate insieme.
La morte è così. Ti arriva come un pugno allo stomaco nella telefonata di un amico che ti chiama per dirtelo: “È morto Federico”. E insieme al dolore della botta improvvisa di colpo ti scarrellano in testa le immagini del tuo passato, le amicizie, le esperienze condivise, le risate, i momenti vissuti insieme in spiaggia. E già perché Federico Compagnoni era un kiter come me, anzi un istruttore di kitesurf come me, e insieme abbiamo condiviso un’estate di lavoro che rimarrà per sempre impressa nei miei ricordi.
Morto mentre faceva lezione di kite
La fredda notizia di cronaca che vado a cercare su internet racconta che Federico Compagnoni è morto lunedì 1 febbraio a 45 anni mentre stava svolgendo una lezione nelle acque di Mui Né, una località del Vietnam che negli ultimi anni è diventata famosa proprio come destinazione ideale per il kite. Tanti turisti, tanti appassionati, tante scuole. Federico lavorava in una di queste, a Hon Rom Beach. I testimoni, che poi erano i suoi studenti, lo hanno visto accasciarsi in acqua a causa di un malore mentre stava surfando. Hanno chiesto subito aiuto e qualcuno lo ha portato in spiaggia, ma a nulla sono serviti i tentativi di rianimarlo. Aveva già ingerito molta acqua e il suo cuore non ha più ripreso a battere. È morto annegato. Aveva 45 anni.
Il corpo di Federico al momento riposa in obitorio, a migliaia di chilometri di distanza, dalla sua città, Pompiano nella provincia di Brescia, dove i genitori Agnese e Severino e la sorella Isabella l’aspettano per dargli l’estremo saluto.
Innamorato dei kiteloop e dell’insegnamento
Ripenso al viso di Federico, ai suoi occhi malinconici che a volte si aprivano in un sorriso che voleva abbracciare il mondo. Quando parlava ti arrivava quel suo forte accento bresciano che non si era attenuato nemmeno nei tanti viaggi che aveva fatto in giro per il mondo. Sempre per il kite, perché Federico amava alla follia questo sport. Non credo di avere conosciuto nella mia vita qualcuno più ossessionato dal kitesurf di lui. Poteva parlarne per ore, coprendo tantissimi aspetti, dalla tecnica, ai materiali, dai personaggi ai vari modelli di attrezzature. Conosceva tutto, s’informava e voleva saperne sempre di più. Due erano in particolare i suoi temi preferiti: i kiteloop e la sua tavola Monarch della Naish.
Quando ci siamo conosciuti eravamo a Crotone a lavorare per la scuola di Giovanni Scalise e Federico era reduce da un brutto incidente avvenuto proprio mentre eseguiva un kiteloop: “Mentre atterravo ho visto la tavola andare di là e il mio ginocchio dall’altra parte”, raccontava sconfortato, ma anche con una punta di orgoglio guascone. Al tempo il kiteloop era ancora una manovra tanto estrema quanto non così popolare. E per lui era la massima espressione della potenza e dell’adrenalina. Portava sempre il tutore e zoppicava vistosamente, nonostante s’imbottisse di antinfiammatori. In queste condizioni, parliamo di uno che era alto 1,90 m e pesava buoni 90 chili, l’ho visto fare lezioni ogni giorno di quell’estate scarpinando sotto al sole lungo la spiaggia di Crotone che non finiva mai. Era bravo a insegnare, motivava gli studenti e li fomentava facendogli vedere i kiteloop.
Soffriva parecchio a non poter surfare e ogni tanto tra una lezione e l’altra prendeva un Dice e andava a navigare per qualche minuto, così giusto per sentire ancora una volta quel vento sulla faccia. La sua voglia di stare in acqua era più forte del dolore al ginocchio. Poi tornava in spiaggia e Giovanni Scalise, esperto di sport e lavoro muscolare, giustamente lo cazziava. Quegli sforzi rallentavano inesorabilmente il suo recupero e lo condizionavano ancora di più nel lavoro.
Nel kitesurf riscattava i suoi demoni
Ma Federico era così, una specie di kamikaze, uno spirito libero, profondamente ribelle. Lui, nipote del grande Achille Compagnoni, il primo alpinista al mondo a salire sulla vetta del K2 insieme a Lino Lacedelli, chissà forse dal nonno aveva ereditato quel piglio diabolico e avventuriero. Aveva lasciato la sua famiglia e l’azienda di papà (la fabbrica di tapparelle Lartes) per il kitesurf, la vita in spiaggia e i viaggi in giro per il mondo. Mi raccontava addirittura di avere vissuto per qualche anno nella famosa Valle degli Elfi, una comunità italiana di persone che vive nei boschi senza alcuno strumento meccanico e senza confort in casa (riscaldamento, elettrodomestici, tv). Una scelta estrema e dolce al tempo stesso, proprio come lui. Raccontava sempre un sacco di aneddoti sulla sua vita e ci facevamo delle grandi risate. Era diretto e amava la compagnia, le ragazze ovviamente, a me piaceva per questo.
Cercava sé stesso Federico, forse un po’ di pace e intanto prendeva colpi dalla vita. All’epoca si rifugiava nell’alcool e ne combinava di tutti i colori. Non credo di avere mai odiato qualcuno come lui quando la sera tornava ubriaco nella casa che condividevamo e svegliava tutti noi istruttori mandando a monte la nostra preziosa dose di sonno dopo il lavoro in spiaggia. Straparlava, si faceva dei lunghi pianti, pensava alle persone che aveva lasciato. Faceva paura grosso com’era, ma alla fine era un buono. Quando si riprendeva si scusava con tutti e si malediceva, ma intanto le persone si allontanavano.
Leggi anche: Perché il kiteboarding ci cambia la vita
Una vita in acqua, come una mangrovia
Qualche anno dopo la nostra estate a Crotone Federico Compagnoni mi chiamò chiedendomi se potevo segnalarlo come istruttore a qualche scuola e lo dico sinceramente, proprio a causa dei suoi problemi, ho glissato. Gli ho detto “Riprenditi prima, questo lavoro richiede grandi responsabilità”. Ma il kitesurf era la sua vita e io credo che proprio in questo sport lui cercasse di salvarsi dai demoni che aveva dentro.
Aveva creato un gruppo su Facebook ed era fiero del nome che gli aveva dato: ManGroove. Mi spiegava che si era ispirato alle mangrovie, le piante che hanno questa capacità di crescere nell’acqua e che lo avevano sempre entusiasmato. “Vedi io e te – mi diceva – siamo due mangrovie”.
Ogni tanto ci sentivamo. Sapevo che negli anni successivi aveva continuato a viaggiare e lavorare come istruttore, soprattutto in Oriente. Aveva trovato una nuova compagna e stava per sposarsi. Una vita felice finalmente. Fino a quell’ultima lezione sulla spiaggia di Mui Né. Ciao Federico, te ne sei andato presto, ma hai surfato fino all’ultimo secondo della tua vita.
Hai detto bene David, è morto in un posto che amava e facendo ciò che gli piaceva di più. Non è da tutti. Ciao Federico, ti ricordiamo dal tuo piccolo paesello. Grazie per questo articolo.
Ringrazio di cuore per il ritratto preciso di mio fratello, il mio complicatissimo, adorabile fratellino dal cuore immenso
I was very sad with his leaved
I am keeping his passport for extend visa
Who know about his familly or his friend . Pls contact with me. 0367117976
I need send his passport urgent to family. To enought document about coming his home.
Io e Laura siamo qua insieme a parlare di te. È un forte dolore, certo non saperti più fra le onde della tua libertà, ma ne siamo sicure…da qualche parte sarai già nel tuo nuovo mare , sicuramente più soave il tuo animo.
Bellissimo articolo! Bellissima descrizione di Fede, che per me sarà sempre ”Patacca”!!